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Foto di Shawn Day su Unsplash

Una nuova scoperta potrebbe aprire la strada a trattamenti innovativi contro l’Alzheimer. Si tratta di hevin, una molecola già nota per il suo ruolo nella plasticità cerebrale, che secondo uno studio recente sarebbe in grado di invertire i deficit cognitivi negli anziani, migliorando la comunicazione tra neuroni.

La ricerca, condotta da un team brasiliano dell’Università Federale di Rio de Janeiro (UFRJ), è stata pubblicata sulla rivista Aging Cell e mostra risultati promettenti sia su animali anziani che su modelli animali affetti da Alzheimer.

Cos’è hevin e cosa fa nel cervello

Hevin è una proteina prodotta naturalmente dagli astrociti, cellule del sistema nervoso che supportano la funzione dei neuroni. Gioca un ruolo chiave nella formazione e nel mantenimento delle sinapsi, cioè le connessioni tra le cellule nervose.

“La sinapsi dipende da specifiche proteine per trasmettere segnali chimici da un neurone all’altro”, spiega il biochimico Danilo Bilches Medinas. “Abbiamo visto che aumentando i livelli di hevin, le sinapsi si rafforzano e le prestazioni cognitive migliorano”.

Cosa ha scoperto la ricerca

Analizzando dati pubblici, i ricercatori hanno osservato che nei pazienti affetti da Alzheimer i livelli di hevin nel cervello erano significativamente ridotti rispetto a quelli di soggetti sani della stessa età.

Partendo da questa osservazione, hanno testato l’effetto di una sovraespressione di hevin nel cervello di topi anziani e di modelli transgenici con Alzheimer. Il risultato?

  • Miglioramento delle funzioni cognitive
  • Aumento delle connessioni sinaptiche
  • Nessun effetto sulla presenza delle placche beta-amiloidi

Un possibile cambio di paradigma nella ricerca sull’Alzheimer

Un dato sorprendente emerso dallo studio è che, pur migliorando le funzioni cognitive, l’aumento di hevin non ha modificato la quantità di placche beta-amiloidi presenti nell’ippocampo, una delle aree cerebrali più colpite dalla malattia.

“Questo risultato dimostra quanto sia complessa la malattia di Alzheimer, che non può essere spiegata solo dalla presenza delle placche”, afferma il biologo Felipe Cabral-Miranda. “Ci sono anziani con depositi amiloidi nel cervello che non mostrano alcun sintomo. Questo ci spinge a guardare oltre”.

Cosa significa tutto questo per il futuro

Lo studio suggerisce che agire sulla qualità delle sinapsi, potenziando molecole come hevin, potrebbe essere una nuova strategia terapeutica contro il declino cognitivo, anche senza intervenire direttamente sulle placche.

Non si tratta ancora di una cura, ma di una promettente direzione di ricerca che potrebbe portare a nuovi trattamenti capaci di migliorare la qualità della vita nelle persone con demenza.

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