demenza senile, dormire, riposo
Dormire meno di 6 ore aumenta il rischio di demenza senile. Foto di Ramiro Calace Montu da Pixabay

Sappiamo quanto sia importante il giusto riposo per il nostro corpo e per il nostro cervello. Durante il sonno il corpo si rigenera, si ricalibra e si prepara ad affrontare una nuova giornata. Il delicato ciclo di sonno-veglia è un importante sistema per la buona salute del nostro corpo.

 

Il collegamento tra sonno e demenza

Secondo una nuova ricerca, un adeguato riposo, non inferiore alle 6 ore consecutive, può essere di grande aiuto per migliorare la salute del nostro cervello, soprattutto mentre questo invecchia insieme a noi.

Questo nuovo studio mostra infatti che, nelle persone di età compresa tra i 50 ed i 60 anni, dormire sei ore o anche meno ogni notte, aumenta il rischio di insorgenza di demenza senile ad esordio tardivo del 30%, rispetto a un normale sonno di sette ore consecutive.

Questi dati sono stati ottenuti analizzando una notevole quantità di dati raccolti tra il 1985 ed il 2016. In questi anni infatti, ad alcuni pazienti è stato chiesto in sei diversi questionari nel corso degli anni, di registrare la durata media del sonno per notte in una settimana. Questi dati sono poi stati confrontate con le cartelle cliniche dei pazienti in uno studio iniziato proprio alla metà degli anni ‘Ottanta, il Whitehall II.

Questa enorme mole di dati raccolti nel corso del tempo, ha permesso di stabilire che ad oltre 521 persone su 8000, con un età media di 77 anni, era stata diagnosticata la demenza senile. Si tratta inoltre di uno studio molto ampio, sia per dimensione che per scala temporale, i cui risultati sono quindi significativi.

 

I limiti della ricerca e l’importanza del sonno

Sebbene siano necessari ulteriori studi per comprendere il meccanismo con cui il sonno potrebbe incidere sulla demenza, come sostiene Kristine Wilckens, assistente professore di psichiatria dell’Università di Pittsburgh School of Medicine, gli esperti hanno ipotizzato, basandosi su studi precedenti, che il sonno possa aiutare ad eliminare l’accumulo di depositi proteici anormali caratteristici della malattia di Alzheimer.

Wilckens afferma infatti che “parti del cervello coinvolte nella regolazione sonno-veglia tendono ad avere una neurodegenerazione precoce. Le proteine coinvolte nella malattia di Alzheimer sono influenzate dal ciclo sonno-veglia e la clearance di quelle proteine patologiche è maggiore durante il sonno”.

Ma nonostante l’ampiezza di questo studio e la notevole quantità di dati, alcuni ricercatori rimangono scettici sui suoi risultati. Alcuni contestano ad esempio il fatto che lo studio Whitehall, non teneva in considerazione tutti i diversi stati socioeconomici e le diverse popolazioni ed etnie, ma era principalmente incentrato sui funzionari pubblici britannici, ovvero maschi adulti bianchi e sani.

Inoltre secondo Wilckens, lo studio non tiene conto della qualità del sonno, un aspetto che ritiene sia altrettanto importante quanto la durata stessa del sonno. Anche la qualità del sonno infatti ha un impatto notevole sulle funzioni cognitive durante l’invecchiamento.

Ma nonostante i limiti e le obiezioni rispetto a questo studio, tutti i ricercatori sono concordi nell’affermare che il sonno sia un aspetto molto importante per la nostra salute, cerebrale e generale.