Ph. Credit: New York Post via Twitter

Nei giorni scorsi è accaduto qualcosa che mai sarebbe dovuto accadere, una pietra giapponese molto famosa tra i turisti si è spaccata. Di per se la notizia non sarebbe di nessuna rilevanza, se non fosse per il fatto che il motivo di tanta fama della pietra risiede nel fatto che la leggenda vuole che vi fosse imprigionato un demone maligno.

 

La pietra giapponese della morte tra le mete turistiche

La pietra è una roccia vulcanica che si trova a Nasu, nella prefettura di Tochigi, a circa due ore di treno da Tokyo. La città è da sempre nota per le sue sorgenti termali sulfuree, e ad accrescere la popolarità del luogo dei turisti vi è anche la pietra e la sua leggenda. La pietra è infatti ben segnalata come un punto di interesse quando si fa visita alla città.

Con la storia della pietra infatti, si intreccia la leggenda di Tamamo-no-Mae, il demone della micidiale volpe a nove code che è presumibilmente imprigionata nella pietra. La sua leggenda è millenaria e ben documentata nella letteratura giapponese, comprese le opere teatrali Noh e i alcuni anime (ad esempio la saga di Naruto).

La pietra leggendaria è conosciuta in Giappone come Sessho-seki, la “pietra mortale”, e proprio all’inizio di questa settimana la pietra si è spezzata a metà. Secondo i più superstiziosi e tutti coloro che credono nella leggenda della pietra giapponese, questo evento potrebbe aver portato alla liberazione di Tamamo-no-Mae, il letale e immortale demone volpe che portò al crollo di dinastie e alla morte di migliaia di persone in tutta l’Asia nei tempi antichi.

 

La leggenda di Tamamo-no-Mae e della Sessho-seki

Secondo l’antica mitologia giapponese, Tamamo-no-Mae apparve per la prima volta in Cina nel 1000 a.C. come una bella donna. Divenne moglie dell’imperatore durante la dinastia Shang convincendolo ad operare nel male e portando alla caduta della dinastia Shang. La volpe a nove code fece poi la sua ricomparsa a Magadha, un antico regno che oggi si trova in India, dove sposò un principe e lo convinse che fosse giusto decapitare migliaia di persone.

Dopo essersi lasciata dietro questa scia di orrore, la volpe Tamamo-no-Mae si recò in Giappone dove si mise a servizio nell’antica corte imperiale di Kyoto finendo con il conquistare il cuore dell’imperatore. Come risultato della sua influenza, l’imperatore si ammalò e le sue condizione di salute peggiorarono fino a che un mistico alla sua corte non riconobbe nella donna il malvagio demone e la mise in fuga da Kyoto.

Dopo qualche tempo iniziò a spargersi la voce della presenza di una volpe a nove code che rapiva giovani donne e ragazze nel distretto di Nasu. La Corte Imperiale decise dunque di intervenire e inviò un esercito di 80.000 persone a Nasu per combattere la malvagia creatura, che venne infine sconfitta da Kazusa Hirotsune, un samurai. Il suo corpo sconfitto si tramutò dunque in una pietra, talmente malvagia che era in grado di uccidere qualsiasi essere umano o animale che vi si avvicinasse. Questo fino a che un monaco, centinaia di anni dopo, si avvicinò alla pietra malvagia dopo essersi purificato nelle vicine sorgenti termali, e, intonando un potente sutra divise la roccia, indebolendo i suoi poteri letali.

Questa è la storia della leggendaria pietra giapponese e del suo demone. Sebbene vi siano molte altre pietre identificate con la Sessho-seki, quella di Nasu oggi è ritenuta la principale, tanto da essere persino registrata come sito storico locale nel 1957 e da portare alla costruzione di un santuario dedicato alla volpe a nove code.

 

Il futuro incerto della pietra giapponese della morte

Ora che la pietra si è però spezzata il suo futuro è incerto, e secondo più superstiziosi anche il nostro. In un periodo come questo, anche solo la superstizione che un demone malvagio possa essere a piede libero, non è di certo incoraggiante.

Al momento i funzionari del governo si stanno attivando per decidere quale sarà il futuro della pietra mortale giapponese. I residenti di Nasu sperano che la pietra venga comunque preservata e che rimanga nella loro città.

Ph. Credit: New York Post via Twitter