Il Re di Aringhe, ovvero il regaleco (Regalecus glesne) è un pesce abissale di grandi dimensioni dell’ordine dei Lampridiformi. Ha un corpo allungato e piatto, quasi da sembrare un nastro, piuttosto fragile, di colore argento e con delle strisce oblique scure, e la sua pelle è cosparsa di piccoli tubercoli. I suoi elementi caratterizzanti sono la pinna dorsale rossa che percorre tutto il suo corpo, una cresta sopra la testa e le due lunghe pinne pelviche simili a remi (per questo si chiama anche “pesce remo”).
Il re di aringhe: un mostro marino a tutti gli effetti
Questo pesce può raggiungere lunghezze straordinarie, sino ai 15 m, sebbene generalmente siano lunghi attorno ai 3 m. Nel febbraio 2010, nel Golfo del Messico, a circa 1500 metri di profondità, è stato avvistato da un batiscafo un esemplare la cui lunghezza è stata approssimativamente stimata in oltre 17 metri.
Data la sua enorme lunghezza, anche il peso è degno di nota, arrivando anche a diversi quintali è considerato il pesce osseo più lungo al mondo. Le dimensioni lo rendono quasi immune dai predatori e sono probabilmente all’origine delle leggende che si raccontano sui mostri marini. Ma nonostante le sue mostruose caratteristiche, questo pesce è assolutamente innocuo per l’essere umano.
Il messaggero del dio del mare
Certo innocuo se si esclude la sua cattiva fama di premonitore di disastri come tsunami e terremoti. In Giappone infatti il re di aringhe, le cui apparizioni sono rare, è considerato il “Messaggero del Palazzo del Dio del Mare”. Questa sua cattiva reputazione ha acquisito maggiore forza quando ne vennero trovati alcuni esemplari su una spiaggia in Giappone poco prima del disastro di Fukushima nel 2011.
Il re di aringhe, oltre alla presenza di tubercoli sulla sua pelle, è coperto da una sostanza argentea, la guanina, ed è totalmente privo di squame. Le pinne sono prive di spine e, secondo quanto riferito da chi ha provato a mangiarlo, la sua carne ha un sapore piuttosto sgradevole e risulta alquanto viscida.
Il regaleco si muove ondeggiando il corpo in acqua lateralmente e di rado si avvicinano alla superficie. In genere infatti vivono attorno ai 1000 m di profondità. Poiché non affiorano spesso, sappiamo molto poco sulla loro distribuzione, sullo stato di conservazione di questa specie e sulla sua biologia, nonostante siano noti alla comunità scientifica dal 1772.