Che al mondo ci sono popolazioni più vulnerabili delle altre, soprattutto a causa della loro povertà, non è una novità. In questa emergenza globale la situazione è peggiorata. Molte popolazioni indigene stanno affrontando il coronavirus a modo loro. In Amazzonia possiamo trovare gli esempi più significativi, ma anche negli Stati Uniti con gli indiani Navajo.
Quest’ultimi vivono al centro degli Stati Uniti. Una terra vasta, ma povera e con pochissime infrastrutture. Nonostante la densità abitativa sia molto bassa, il tasso di contagi è molto simile a quello di New York, la città più colpita al mondo allo stato attuale, perlomeno secondo i dati ufficiali registrati.
Una situazione grave. Mentre nella città che si affaccia sull’Oceano Atlantico c’è un sistema sanitario che funziona, anche se soprattutto grazie ai recenti ingenti aiuti, nello sconfinato territorio navajo, no.
Gli indiani Navajo contro il coronavirus
Apparentemente ci sono appena 12 centri di assistenza sanitaria che servono a gestire una popolazione sparsa su 71.000 chilometri quadrati. Non è la prima volta che gli indiani affrontano una pandemia del genere in queste condizioni. La spagnola, che fece decine di milioni di morti in giro per il mondo, colpì duramente i Navajo. Anche la H1N1 del 2009, un virus molto meno letale, ma che uccise molti più indiani rispetto alle altre minoranze degli Stati Uniti.
Uno dei problemi più grandi del loro territorio è il fatto che un terzo delle famiglie non ha accesso all’acqua potabile. Questo ovviamente va contro alla possibilità di tenersi sempre puliti e disinfettati. Insomma, una situazione pessima che è il frutto di politiche decennali.