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Foto di Brian Asare su Unsplash

L’influenza aviaria è un’epidemia ciclica, come di fatto il nome può anche suggerire. Ormai sono decenni che se ne parla e per certi versi, nella popolazione normale non suona più come un’emergenza, neanche dopo la pandemia di Covid-19. Nella realtà però, la situazione sta diventando più complicata e questo anche grazie ai cambiamenti climatici. Il ceppo più recente e più preoccupante è l’H5N1 e la sua capacità di infettare è di gran lunga importante.

Questo ceppo di influenza aviaria è in grado di infettare un gran numero di specie di volatili, tra cui molti migratori che sono in grado di infettare altri animali su vasta scala in continenti diversi. Non si parla più solo di volatili, ma anche mammiferi, un passaggio molto più vicino all’uomo e quindi allarmante. Ma cosa c’entrano i cambiamenti climatici?

 

Aviaria e cambiamento climatici

Il discorso è sostanzialmente semplice, l’aumento delle temperature cambia gli habitat dei vari animali, anche dei volatili. Questo porta a cambiare anche le rotte migratori facendo incontrare specie che prima avevano poche possibilità o non si potevano incrociare del tutto. I virus possono quindi facilmente passare da una specie all’altra più facilmente nel caso sia una tipologia prima non presente in una parte del mondo. Questo, a sua volta, può facilitarne l’evoluzione fino a raggiungere tratti in grado di danneggiare l’uomo, come sta avvenendo con il ceppo di aviaria.

Ovviamente questo discorso è valido per altri virus, ma al momento è l’aviaria a essere il pericolo più concreto in quando interessa specie di animali in grado di viaggiare tra contenenti diversi e separati. Ci sono casi di H5N1 anche in Antartide indicando che il futuro potrebbe nascondere  molti più pericoli.