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Foto di Alexandra_Koch da Pixabay

I primi genomi del vaiolo delle scimmie in Europa, di cui abbiamo sentito parlare negli ultimi giorni, hanno mostrato qualcosa di sorprendente, ossia che dal 2018 il virus è mutato dalle cinque alle dieci volte più velocemente del normale. In effetti i ricercatori stanno cercando di capire l’origine di questo fenomeno. Sono già 30 i genomi del virus che si sono presentati per la prima volta al di fuori dall’Europa, scatenando la più grande pandemia di questa malattia.

Da un lato, i dati genomici mostrano che il virus è strettamente correlato al lignaggio dell’Africa occidentale precedentemente identificato in diversi paesi al di fuori del continente. Dall’altro, il genoma contiene un numero estremamente elevato di mutazioni, e nessuno sa che cosa questo significhi. In modo complessivo il virus attuale differisce dal virus del vaiolo delle scimmie emerso dopo il 2017 a Singapore, Israele, Nigeria e Regno Unito, il cui genoma è stato sequenziato nel 2018 in 47 punti del genoma.

 

Vaiolo delle scimmie, il genoma ha innumerevoli mutazioni

Il virus originale del vaiolo umano, per esempio, cambiava solo in uno o due punti all’anno. Si pensa che il vaiolo delle scimmie cambi a un ritmo simile. E quest’ultimo a sua volta significa che il vaiolo delle scimmie si sarebbe evoluto da cinque a dieci volte più velocemente del normale. Gli esperti hanno trovato questo gruppo di mutazioni in tutti i virus dell’epidemia finora sequenziati. Ciò rende possibile che tutti i contagi possano essere ricondotti a un singolo caso. I dati, tuttavia, non rivelano se queste mutazioni abbiano reso il virus più adatto agli esseri umani e quindi abbiano causato l’epidemia globale.

L’ipotesi che ne viene fuori è che come il Covid-19 ha moltissime mutazioni, questa potrebbe essere una variante del vaiolo delle scimmie che si diffonde più velocemente e facilmente. Con circa 200.000 coppie di basi, il genoma del vaiolo delle scimmie è molto più grande e complesso di quello di SARS-CoV-2 o dell’influenza. È noto che alcune proteine sono prodotte molto presto nell’infezione e sopprimono la risposta immunitaria innata, mentre altre amplificano il materiale genetico del virus. Nell’ultima fase si formano i componenti delle nuove particelle virali emergenti.

 

 Difficile stabilire se il virus sia diventato più infettivo

I poxvirus formano due tipi diversi di particelle virali che si pensa si leghino alle cellule e vi entrino in modi diversi. Pertanto, con questi virus, è molto più difficile stabilire dalle mutazioni se il virus sia diventato più infettivo o se stia sfuggendo agli anticorpi esistenti. I sospetti degli esperti cadono su una famiglia di proteine chiamate APOBEC3, che fanno parte di un meccanismo protettivo contro i retrovirus, che hanno un genoma a RNA che convertono in DNA durante il ciclo di replicazione nella cellula ospite.

Questi enzimi sono le cosiddette deaminasi che rimuovono un gruppo amminico da un massimo del 20% di tutti i blocchi di citosina presenti nel genoma del filamento di DNA in via di sviluppo di un retrovirus. Le proteine APOBEC3 causano quindi una grande quantità di mutazioni che potenzialmente rendono inutile il materiale genetico.

Foto di Alexandra_Koch da Pixabay