Gli scienziati hanno scoperto un asteroide molto vicino alla Terra. Il Kamo’oalewa potrebbe effettivamente essere un frammento della Luna. I quasi-satelliti della Terra sono una classe di piccoli corpi nei sistemi solari vicini al nostro pianeta che orbitano attorno al Sole ma rimangono vicini alla Terra. Poiché sono deboli e molto difficili da osservare, non ci sono dati sufficienti su questi corpi celesti.
Recentemente, con l’aiuto del Large Binocular Telescope (LBT) e del Lowell Discovery Telescope (LDT), un team di scienziati ha scoperto un asteroide molto vicino al nostro pianeta, chiamato Kamo’oalewa, che potrebbe essere una luna in miniatura.
Scoperto nel 2016 tramite il telescopio PanSTARRS alle Hawaii, l’asteroide ha un diametro compreso tra 45 e 58 metri ed è a una distanza che gli astronomi considerano “vicina” al nostro pianeta: 14,4 milioni di chilometri. Durante l’indagine, il team ha fatto un’impressionante scoperta sullo schema della luce riflessa a Kamo’oalewa, noto anche come spettro. Secondo i ricercatori, lo spettro dell’asteroide corrisponde a quello delle rocce lunari studiate dalle missioni Apollo della NASA. Ciò significa che è molto probabile che l’oggetto abbia un’origine lunare.
Un asteroide… lunare
L’orbita di Kamo’oalewa è un altro indizio che porta gli scienziati a credere nella teoria dell’origine lunare, poiché “è molto simile a quella terrestre, ma con un’inclinazione minore”, ha spiegato il ricercatore Renu Malhotra. Inoltre, il fatto che l’orbita non sia tipica degli asteroidi vicini alla Terra supporta questa tesi.
Gli esperti pensano che Kamo’oalewa non rimarrà in questa orbita ancora per molto – forse circa 300 anni – e stimano che si sia formato circa 500 anni fa. Poiché nessun altro asteroide è noto per avere origini lunari, il team non è ancora sicuro di cosa abbia raggiunto la superficie della Luna e, di conseguenza, abbia rilasciato il frammento di roccia, tanto meno cosa abbia portato l’asteroide nella sua orbita attuale.
Il documento scientifico con i risultati è stato pubblicato l’11 novembre su Nature Communications Earth & Environment.