rocce ossigeno

Secondo una nuova ricerca condotta dagli scienziati dell’Università di Alberta e dell’Università di Tartu in Estonia, la Terra all’inizio della sua storia potrebbe essere stata molto ricca di ossigeno. Le prove arriverebbero da una shungite, un’antica roccia sedimentaria ricca di carbonio depositata due miliardi di anni fa.

Il materiale rinvenuto dagli scavi suggerisce diversi indizi su forti concentrazioni di ossigeno sulla superficie terrestre in quel periodo; questo include livelli elevati di molibeno, uranio e renio, nonché rapporti isotopici dell’uranio.

“Si ritiene che questi metalli siano comuni negli oceani e nei sedimenti della Terra quando l’ossigeno è abbondante”, ha spiegato Kaarel Mänd dell’Università di Alberta e autore principale dello studio. “Queste concentrazioni di metalli non hanno rivali nella storia della Terra, suggerendo livelli elevati nel momento in cui la shungite è stata depositata.”

rocce ossigeno

L’alto livello di ossigeno potrebbe portare a nuove scoperte sull’evoluzione della vita sulla Terra

Ciò che è sconcertante, ha spiegato Mänd, poiché normalmente la shungite avrebbe dovuto essere depositata in un momento di rapida riduzione dei livelli di ossigeno. “Ciò che abbiamo trovato contraddice quello che è stato sempre affermato”, riferisce Mänd. “Questo costringerà la comunità scientifica della Terra a ripensare ciò che ha guidato i cicli del carbonio e dell’ossigeno sulla Terra primordiale”.

Le nuove scoperte forniscono anche informazioni sull’evoluzione della vita complessa. Agli albori della storia del nostro pianeta esistevano gli eucarioti, noti come i precursori della vita complessa. Questi organismi necessitano tuttavia di alti livelli di ossigeno nel loro ambiente per sopravvivere. Lo studio rafforza l’idea che le condizioni adeguate per l’evoluzione della vita sulla Terra primordiale siano iniziate molto prima di quanto si pensasse.

La ricerca futura esaminerà il ritardo tra l’innalzamento iniziale dell’ossigeno, la comparsa e la diffusione degli eucarioti, rimanendo un’area di ricerca attiva. Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Nature Geoscience.