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I suoni emessi dalle lingue umane, come le melodie della natura, sono plasmati dall’ambiente circostante, con la temperatura media annuale che si rivela essere un attore chiave. Un’indagine condotta dall’Università di Nankai e dall’Università di Kiel ha analizzato oltre 346.000 parole provenienti da varie lingue e dialetti, rivelando che il volume del parlato non sfugge a questa influenza.

Il “suono” medio di ciascuna lingua è stato calcolato, andando oltre la semplice misura del volume e considerando anche la risonanza di ogni parola. Fondamentalmente, il volume linguistico è l’intensità dei suoni del parlato, modellato dall’apertura del tratto vocale.

L’indagine ha esplorato la distribuzione globale degli indici di sonorità media in 9.179 varietà linguistiche, evidenziando che le famiglie linguistiche sviluppatesi in climi più caldi tendono a produrre suoni più acuti rispetto a quelle nelle aree più fredde. Non necessariamente più rumorose, le lingue calde offrono una qualità più risonante e facilmente udibile quando pronunciate ad alta voce.

Sebbene non esista un consenso unanime tra gli studiosi, alcune teorie tentano di spiegare queste scoperte intriganti. Una suggerisce che in climi freddi, l’aria secca può ostacolare la vibrazione delle corde vocali, portando a lingue più silenziose per comodità. Un’altra teoria postula che, in climi più caldi, l’assorbimento dell’aria e l’attenuazione dei suoni ad alta frequenza abbiano guidato lo sviluppo di suoni più risonanti, capaci di resistere a tali distorsioni.

Questi risultati, pubblicati questo mese su PNAS Nexus, aprono nuove prospettive sulla connessione tra ambiente, clima e linguaggio, sottolineando come le lingue umane, come la natura stessa, siano un’armonia influenzata dalle condizioni ambientali.