
Un team di ricercatori guidato dal Babraham Institute, nel Regno Unito, ha sviluppato un nuovo metodo che consente alle cellule epidermiche di “saltare” indietro nel tempo di 30 anni, senza che perdano le loro funzioni specializzate. I ricercatori sono riusciti a ripristinare parzialmente la funzione delle cellule invecchiate, ringiovanendo i marcatori molecolari della loro età biologica.
I risultati dello studio promettono di rivoluzionare la medicina rigenerativa. Con l’avanzare dell’età, si determina un declino della capacità funzionale delle nostre cellule e il genoma accumula segni di invecchiamento. Lo scopo della medicina rigenerativa è il ripristino o la sostituzione di queste cellule invecchiate.
Il processo di creazione delle cellule staminali “indotte”
Uno degli aspetti critici della biologia rigenerativa è sempre stata la capacità di creare cellule staminali “indotte”. Le cellule staminali, normalmente presenti nella placenta e nel cordone ombelicale, hanno la capacità di trasformarsi in qualsiasi altro tipo di cellula.
Il processo di creazione delle cellule staminali “indotte” segue diversi passaggi, che successivamente “cancellano” alcune delle caratteristiche delle cellule specializzate. Ma finora, gli scienziati non sono stati in grado di creare in modo affidabile le condizioni per ridifferenziare le cellule staminali indotte.
Il nuovo metodo sviluppato dal team del Babraham Institute, basato su una tecnica che gli scienziati già utilizzano per produrre cellule staminali indotte, impedisce alle cellule di perdere completamente la loro identità, interrompendo il processo di riprogrammazione delle cellule poco dopo l’inizio.
L’approccio ha permesso ai ricercatori di trovare un equilibrio nella riprogrammazione delle cellule, rendendole biologicamente più giovani, ma mantenendo la capacità di riguadagnare la loro funzione specializzata.
Il normale processo di riprogrammazione cellulare avviene nell’arco di 50 giorni, utilizzando quattro molecole chiave, i cosiddetti Fattori Yamanaka, che svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di cellule staminali pluripotenti. L’uso di queste molecole è stato introdotto nel 2007 da Shinya Yamanaka, il primo scienziato a riprogrammare con successo le cellule mature per diventare pluripotenti. La scoperta ha vinto il Premio Nobel per la Medicina nel 2012 per lo scienziato giapponese e John B. Gurdon, ricercatore dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito.
Il nuovo metodo sviluppato dal Babraham Institute espone le cellule ai Fattori Yamanaka per soli 13 giorni, invece dei tradizionali 50. Al termine di questi 13 giorni, alcuni segni di invecchiamento scompaiono e le cellule perdono temporaneamente la loro identità. I ricercatori hanno quindi concesso alle cellule parzialmente riprogrammate il tempo di svilupparsi in condizioni normali e hanno valutato se la loro funzione specializzata fosse stata ripristinata.
L’analisi del genoma delle cellule trattate con il nuovo metodo ha mostrato che avevano recuperato i marcatori caratteristici delle cellule epidermiche. L’analisi è stata confermata osservando la produzione di collagene nelle cellule riprogrammate.
Ma le potenziali applicazioni pratiche della tecnica dipendono non solo dal fatto che le cellule sembrino più giovani, ma funzionino effettivamente come cellule più giovani. Per confermare che il processo aveva effettivamente ringiovanito le cellule, i ricercatori hanno cercato cambiamenti negli indicatori chiave dell’invecchiamento nelle cellule trattate.
Il team ha testato il loro comportamento sezionando uno strato di cellule in una capsula di Petri e ha osservato che le cellule parzialmente riprogrammate riempivano lo spazio sezionato, più velocemente di quelle invecchiate. Il comportamento delle cellule riprogrammate corrisponde al profilo trovato nei dati di riferimento per le cellule di 30 anni più giovani.
La tecnica sviluppata potrebbe, ad esempio, servire come base per la creazione di cellule più efficaci nel trattamento delle ferite e apre innumerevoli possibilità terapeutiche nel trattamento dei sintomi e delle malattie legate all’invecchiamento.
La nuova ricerca è stata presentata in un articolo pubblicato sulla rivista eLife.