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Photo by Manuel Venturini on Unsplash

Una sostanza chimica trovata nei semi d’uva ha aumentato la durata della vita dei ratti del 9%. E, secondo la scienza, potrebbe potenziare anche la nostra forma fisica. L’elisir di giovinezza è un antico mito che raccontava di una pozione progettata per eliminare la vecchiaia e la normale evoluzione del nostro corpo. Gli alchimisti credevano che l’elisir della giovinezza si trovasse nel bere l’oro, ma la realtà è che potrebbe derivare da qualcosa di molto più comune: i semi d’uva, appunto.

Una sostanza chimica isolata dall’estratto di semi d’uva ha allungato l’aspettativa di vita dei vecchi ratti del 9% ripulendo le loro vecchie cellule logore. Il trattamento sembra anche mantenere i topi fisicamente in forma e ridurre le dimensioni dei tumori se usato con la chemioterapia per curare il cancro.

Questi risultati danno forza ai nuovi trattamenti anti-invecchiamento che si concentrano sulle cellule senescenti, che perdono la loro capacità di replicarsi e causano solo infiammazione.

 

La ricerca

Il team di ricercatori dell’Università dell’Accademia cinese delle scienze di Shanghai si è concentrato su una sostanza chimica trovata nei semi d’uva chiamata procianidina C1 (PCC1). Ad alte concentrazioni, questa sostanza chimica ha dimostrato di uccidere le cellule senescenti, lasciando in vita le cellule più giovani e più sane.

Per testare il suo potenziale, i ricercatori hanno iniettato a 171 topi di 2 anni – l’equivalente di circa 70 anni nell’uomo – con PCC1 o una soluzione di controllo due volte a settimana per il resto della loro vita. In media, PCC1 ha aumentato la vita dei topi del 9%. Ai topi di età inferiore ai 2 anni è stata iniettata anche una soluzione di controllo o PCC1 ogni due settimane per quattro mesi. La sostanza chimica sembrava migliorare la loro forma fisica nei test di velocità, forza e resistenza.

Il trattamento dei topi con PCC1 e mitoxantrone, un farmaco usato per trattare vari tipi di cancro, ha ridotto i tumori di circa il 75%, mentre la sola chemioterapia li ha ridotti in media del 44%.

I risultati dello studio sono stati pubblicati questa settimana sulla rivista Nature Metabolism.