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Una nuova ricerca condotta dagli scienziati dell’Università della British Columbia a Vancouver, in Canada, suggerisce che mettere della terra sterile sulle ferite può aiutare a contenere gravi emorragie.

In una dichiarazione pubblicata questa settimana, gli scienziati spiegano che questo meccanismo può verificarsi grazie alla capacità dei silicati presenti nel suolo, le sostanze predominanti nella crosta terrestre, di coagulare il sangue. Gli scienziati sostengono che il terreno sterile può servire come alternativa alle medicine tradizionali in aree remote o zone estreme.

 

L’alternativa alle pratiche tradizionali

La presenza di terra nelle ferite, affermano gli scienziati, aiuta ad attivare le proteine ​​del sangue note come fattore XII. Dopo l’attivazione della proteina, c’è una catena di reazioni che contribuiscono alla formazione di una sorta di “tappo” nella ferita, che a sua volta provoca la chiusura della ferita stessa, prevenendo la perdita di sangue.

Gli scienziati sottolineano che il sanguinamento grave è la causa fino al 40% della mortalità nei pazienti con lesioni traumatiche. “In casi estremi e nelle aree di accesso remoto ai prodotti per la guarigione e l’isolamento delle ferite, il suolo sterile può potenzialmente essere utilizzato per fermare ferite mortali con sangue“, ha spiegato Christian Kastrup, autore dello studio, sottolineando, tuttavia, che se il terreno non è sterilizzato, c’è un alto rischio di infezione.

Gli scienziati hanno anche notato che la terra provoca questo effetto di coagulazione solo nei mammiferi terrestri e che la reazione è nata a seguito del processo evolutivo. “I risultati dello studio avranno un profondo impatto sul modo in cui ci relazioniamo con l’ambiente“, ha affermato Lih Jiin Juang, coautore dello studio.

Ma l’indagine non si ferma qui: gli scienziati ora vogliono indagare gli effetti dei silicati lunari. “Sapere che questo tipo di silicato attiva anche il fatto XII può essere utile per prevenire le morti tra le persone che visitano o colonizzano la Luna“, ha concluso Kastrup.

I risultati dell’indagine sono stati pubblicati questa settimana sulla rivista Blood Advances.