Negli ultimi ci sono stati moltissimi studi con focus i cambiamenti climatici e come questi andranno a influenzare gli ecosistemi tanto da spazzare via molte specie animali e vegetali. Il problema di questi studi è però il modo con cui tutto è questo è previsto. Viene visto praticamente un punto di non ritorno dove una volta superato inizia la morte a cascata degli animali, degli ecosistemi, della biodiversità. Non è proprio così.
Questa visione si basa sul fatto che secondo le previsioni, per il 2100 le temperature medie del mondo saranno più alte di quattro gradi. Questo aumento è insostenibile per molti ecosistemi. L’aumento però è graduale. Per alcuni risulta fin troppo anche l’aumento di un solo altro grado, per altri invece ne servono due.
Cambiamenti climatici: un effetto a scala
Per esempio, è stato stimato che per gli oceani tropicali il danno da cui non si può più tornare indietro si verificherà tra 10 anni, per il 2030. Per le zone più esterne di questi mari invece ci vorrà fino al 2050. Questo sottolinea come sia più un effetto a scala.
L’aumento di un certo quantitativo di temperatura danneggerà un ecosistema lasciando gli altri intatti o comunque poco influenzati. Successivamente ci sarà un periodo di quiete e poi ci sarà un danno irreparabile da qualche altra parte.
In sostanza, le misure per cercare di invertire il fenomeno vanno intraprese molto prima. Ogni anno perso può corrispondere a delle biodiversità andata perduta per sempre. Aspettare l’ultimo momento è ormai qualcosa di impraticabile. Tra l’altro, lo stiamo vedendo durante questa quarantena che è possibile farlo.