Uno studio recente pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease ha gettato nuova luce sulla presunta prevalenza di demenza nell’Antichità, sfidando l’idea che l’Alzheimer fosse comune tra gli antichi greci e romani. Secondo la ricerca condotta da Caleb Finch e colleghi presso la USC Leonard Davis School of Gerontology, i sintomi correlati all’Alzheimer erano rari circa 2500 anni fa.
Esaminando documenti medici greco-romani risalenti all’VIII secolo a.C. e al III secolo d.C., gli studiosi hanno scoperto poche menzioni di qualcosa simile a un lieve deterioramento cognitivo tra gli antichi greci. Si è riscontrato un aumento di affermazioni che suggeriscono casi di demenza avanzata tra i Romani, sebbene non sia possibile identificarli come Alzheimer.
Secondo lo studio, gli antichi greci e romani non avevano un “livello epidemico” di demenza avanzata, aspettandosi competenza intellettuale oltre i 60 anni. L’analisi di antichi scritti, incluso quello di Ippocrate e di filosofi come Galeno e Plinio il Vecchio, non ha rivelato menzioni significative di perdita di memoria.
Gli autori suggeriscono che l’eventuale comparsa di malattie avanzate nell’epoca romana potrebbe essere associata a fattori ambientali come l’inquinamento atmosferico e l’esposizione al piombo. Gli aristocratici romani utilizzavano frequentemente contenitori contenenti piombo, suggerendo una possibile connessione tra l’esposizione a questo metallo e la demenza.
Questi risultati aprono la porta a nuove riflessioni sulle cause attuali dell’aumento dei casi di demenza, suggerendo che fattori ambientali e comportamentali potrebbero contribuire al fenomeno, analogamente a quanto avveniva ai tempi dei romani.