Uno studio di un team di ricercatori provenienti da tutto il mondo ha analizzato lo stato biologico dei fiumi ed ha rivelato livelli preoccupanti di degrado in tutto il pianeta. Questo studio ha approfondito la conoscenza dello stato biologico stato dei fiumi, sulla base di due bioindicatori utilizzati nel monitoraggio dei fiumi: macroinvertebrati bentonici e pesci. Sono stati così analizzati congiuntamente i risultati dei programmi di monitoraggio provenienti da 45 Paesi (64 regioni di studio) di tutti i continenti e, in particolare, da un gran numero di aree di paesi appartenenti al cosiddetto Sud Globale.
I Paesi del Sud del mondo “hanno le maggiori riserve di biodiversità di acqua dolce al mondo, ma che sono state meno studiate o di cui non si conoscono i dati”, indicano i ricercatori, chiarendo che tra questi Paesi ci sono “Cina, Nepal, Nigeria, Brasile, Sud Africa, Vietnam o Cambogia“.
Questa indagine contiene anche dati provenienti da aree considerate hotspot di biodiversità, come l’Amazzonia, e da paesi come il Giappone o la Corea del Sud, che fino ad ora non erano accessibili alla comunità internazionale.
Gli scienziati hanno anche analizzato l‘influenza dello sviluppo umano e dei cambiamenti antropogenici sulla qualità biologica dei fiumi, “che è essenziale per capire quali misure dovrebbero essere attuate a livello globale”.
I risultati di questo studio mostrano preoccupanti livelli di degrado negli ecosistemi ripariali, con meno della metà delle sezioni studiate in buona qualità biologica (dal 42 al 50%, a seconda dell’elemento biologico – pesci o invertebrati) e circa il 30% gravemente degradato. Le condizioni peggiori sono state riscontrate nei climi aridi ed equatoriali.
Gli scienziati sottolineano inoltre che, tra i fattori studiati, quelli che più influenzano negativamente i fiumi sono la “scarsa qualità fisico-chimica delle acque (una realtà soprattutto in Africa, Asia e Sud America), il fatto che ci siano meno aree protette per i fiumi e un più alto livello di sviluppo umano, che può tradursi in una maggiore storia di cambiamenti nell’uso del suolo da parte dell’agricoltura, dell’industria e dell’urbanizzazione”.
Per quanto riguarda i paesi in via di sviluppo, essi hanno “le percentuali più alte di siti moderatamente impattati, che possono indicare una recente tendenza al loro degrado“.
Lo studio rivela che le comunità ittiche sono in condizioni peggiori di quelle degli invertebrati
In un commento globale alle conclusioni dello studio, gli scienziati ritengono che la perdita di biodiversità d’acqua dolce, nonché il cambiamento nei modelli di distribuzione delle specie, in particolare con il crescente aumento delle specie invasive, sono una naturale conseguenza.
Tutto ciò altera il funzionamento degli ecosistemi ripariali, portando alla perdita dei servizi forniti da questi ecosistemi alle popolazioni (dall’approvvigionamento idrico alla regolazione del clima o alla prevenzione delle malattie).
Pertanto, è fondamentale continuare a monitorare i fiumi nel mondo, “da quelli dove non si è mai fatto nulla ad altri che hanno visto sospesi i loro programmi”. Inoltre, è essenziale pianificare misure di recupero e il nostro studio mostra che la creazione di aree protette per i fiumi o il miglioramento delle foreste sono soluzioni efficienti.