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Il megalodonte è il più grande squalo predatore mai scoperto, ma di lui conosciamo davvero molto poco. Sappiamo che visse tra i 15 ed i 3,6 milioni di anni fa e che poteva raggiungere anche i 14 metri di lunghezza, più del doppio delle dimensioni del suo parente più prossimo ancora vivente, il grande squalo bianco.

 

Pochi fossili per un grande predatore

La scarsa conoscenza che abbiamo di questo mastodontico predatore ancestrale, è dovuta la fatto che la documentazione fossile è piuttosto povera. A causa del suo morbido scheletro cartilagineo, solo alcune parti del corpo dello squalo vengono mineralizzate e preservate come fossili, come ad esempio i denti, il cranio e la colonna vertebrale.

Fino ad ora infatti, la maggioranza delle ricerche si concentravano sui ritrovamenti di denti di megalodonte che di certo, con i loro 17 cm di lunghezza (da cui prendono il nome questi squali), attirano molta attenzione tra i ricercatori. Ma il professor Kenshu Shimada della DePaul University ed i suoi colleghi, hanno deciso di cercare indizi altrove, come mostrano nel loro nuovo studio.

 

La colonna vertebrale: il nuovo oggetto delle ricerche sul megalodonte

I ricercatori infatti, si sono concentrati sulla colonna vertebrale del megalodonte, scoprendo che questi predatori erano in grado di dare alla luce “cuccioli” di circa 2 metri di lunghezza. I ricercatori ritengono che gli squali appena nati riuscivano a raggiungere tali dimensioni cibandosi dei loro fratelli nel grembo materno.

Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno studiato l’accrescimento delle vertebre dei megalodonti. Le vertebre infatti crescono man mano che l’animale invecchia. In particolare i ricercatori hanno analizzato le vertebre un megalodonte dell’epoca del Miocene (da 5 a 23 milioni di anni fa).

Confrontandolo le vertebre di megalodonte con quelle dei grandi squali bianchi moderni, il team ha stimato che l’animale da cui proveniva la vertebra che stavano analizzando, era lungo circa nove metri.

 

Nuove ed importanti informazioni

Inoltre, dato che gli squali depositano anelli di tessuto duro sulle vertebre ogni anno, come il tronco di un albero, possono essere usati per stimare l’età dell’animale. Analizzando dunque le strutture interne delle vertebre fossili di megalodonte tramite scansione a raggi X dettagliata, i ricercatori sono riusciti a ricavare importantissime informazioni su questo squalo gigante preistorico. Questo esemplare è morto all’età di 46 anni. Inoltre la stima delle dimensioni del primo anello di crescita implica che lo squalo alla nascita misurava circa due metri.

Nella maggior parte degli squali, le uova si schiudono all’interno della madre, dove i piccoli si nutrono del tuorlo d’uovo e dei liquidi che secerne finché non nascono completamente formati. Con questa premessa, per spiegare l’enorme dimensione dei piccoli di megalodonte alla nascita, i ricercatori hanno ipotizzato che questa specie aveva la stessa modalità riproduttiva, ma con un aspetto più macabro. I piccoli in via di sviluppo di megalodonte, per raggiungere queste dimensioni nell’utero, devono aver mangiato molto.

 

Il megalodonte è un predatore già nel grembo materno

Ma dove possono aver preso tutto quel cibo? Secondo i ricercatori è molto probabile che la crescita dei piccoli sia stata alimentata dal cannibalismo. I piccoli in via di sviluppo dunque si cibavano delle uova non schiuse. Erano dunque i loro fratelli mai nati a fornire il cibo altamente proteico che ha permesso al megalodonte di raggiungere i due metri di lunghezza alla nascita.

L’ipotesi dei ricercatori è supportata dal fatto che non si tratterebbe di un comportamento unico tra gli squali. Ad esempio ciò avviene in tutte le specie di squali viventi dell’ordine lamniforme, un gruppo che comprende il grande squalo bianco e lo squalo mako.