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Fin dai primi giorni di emergenza si è fatto un collegamento tra il coronavirus e l’inquinamento dell’aria. Le zone notoriamente più inquinante sembravano quelle più colpite e dove si presentavano la fetta più grande di casi gravi. La certezza non c’era però anche perché queste suddette zone presentano anche altre aspetti particolari, come l’alta densità della popolazione. Un nuovo studio ha sottolineato di nuovo questo collegamento.

La ricerca condotta dalla Società Italiana di Medicina Ambientale ha trovate tracce del virus nel particolato atmosferico. Saperlo ora apre nuove strade per capire se in una determinata area sono presenti diversi casi di persone contagiate.

 

Coronavirus e inquinamento dell’aria

Le parole dei ricercatori: “Questa prima parte della ricerca mirava espressamente a cercare la presenza dell’RNA del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico. Le prime evidenze relative alla presenza del coronavirus sul particolato provengono da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambiente di siti industriali della provincia di Bergamo, raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo.”

Le parole dell’epidemiologo Prisco Piscitelli: “Ad oggi le osservazioni epidemiologiche disponibili per Italia, Cina e Stati Uniti mostrano come la progressione dell’epidemia Covid-19 sia più grave in quelle aree caratterizzate da livelli più elevati di particolato.”

“Esposizioni croniche ad elevate concentrazioni di particolato atmosferico, come quelle che si registrano oramai da decenni nella Pianura Padana, hanno di per sé conseguenze negative sulla salute umana, ben rilevate e quantificate dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, rappresentando anche un fattore predisponente a una maggiore suscettibilità degli anziani fragili alle infezioni virali e alle complicanze cardio-polmonari.”