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I Millennials, generazione stressata e ansiosa

I Millennials sono gli adolescenti e i giovani adulti di oggi e rappresentano la generazione che viene a rispecchiare i cambiamenti che stanno avvenendo nelle società globali attuali. Questa generazione è nota per dipendere in tutto e per tutto dalle nuove tecnologie e per dare poco o nessun valore a molti altri aspetti del quotidiano.

Ma c’è di più: secondo l’American Psychological Association, i Millennials tendono a vivere più sotto stress e ad avere una minore capacità di gestire rispetto alla generazione precedente. E le cifre sono la prova più evidente: il 12% dei Millennials, negli Stati Uniti, hanno qualche tipo di disturbo d’ansia. Questa conclusione segue una linea di pensiero da parte di altri due indagini in cui, tra le altre cose, si è rivelato che il 30% dei Millennials lavoratori e il 61% dei Millennials studenti erano ansiosi e avevano episodi regolari di ansia.

Ma perché questa generazione è più stressata e più ansiosa? Sembrerebbe perché è in balia di una serie di abitudini attuali tutt’altro che “amiche” per la salute fisica e mentale. Ecco una lista delle cause più evidenti:

1 – Routine del sonno: scarso e spesso causato da un uso esaustivo di dispositivi mobili e dalla tendenza a vedere la serie tardi e nei momenti meno indicati;

2 – Ignorare l’importanza di una buona alimentazione. I Millennials bevono poca acqua, mangiano poca frutta e verdura e rivolgono poca attenzione alle cure nutrizionali; 

3 – Bere troppo caffè, abitudine che non riguarda solo la qualità del sonno, quanto l’aumento dell’ansia;

4 – Trascorrere tutto il giorno seduti, una realtà comune nel lavoro di oggi e che porta notevolmente ad una crescita sedentaria;

5 – Uso massiccio del telefono cellulare, che non solo causa danni alla colonna vertebrale, ma compromette anche la vista e la memoria; 

6 – Trascorrere troppo tempo online, mentre la vita reale è… offline. I Millennials tendono a spendere più di due ore al giorno guardando serie TV, mentre molti altri sono “aggrappati” ai social network, svalutando i contatti personali e stando alla mercé delle conseguenze emotive che provoca la “vita digitale”.