Ho conosciuto Milena Ingrosso in quella fase della vita in cui si decide di fare quello che si vuole “fare da grandi”. Siamo state compagne di stanza e di studio per un breve periodo. Ma molto intenso. Tanto da lasciare un ricordo ben distinto di sorrisi, confidenze e sogni.
Poi le nostre strade si sono divise. E, come sempre accade, Facebook ci ha fatto reincontrare.
Di lei ho sempre saputo e associato l’idea del Giappone. L’idea perchè, non essendoci mai stata, mi sono costruita un’idea, appunto, attraverso immagini, letture e un po’ di studio della lingua. E qui Milena torna prepotentemente sulla mia bacheca Facebook. Ovvero, quando ha pubblicato il suo libro Chikamichi – giapponese da zero, scritto a quattro mani con Mitsuhiro Sugiyama ed edito da Vallardi.
L’ho ricontattata dopo tanto tempo. Ed è stato un tuffo nel passato e, da qui, l’idea – un’altra – di questa intervista, che è più una chiacchierata davanti ad un tè se non fosse per la distanza che ci divide.
FV: Milena, sapevo che prima o poi la tua passione per il Giappone si sarebbe tramutato in qualcosa di più concreto, come la parola scritta. Come è nata l’idea di una grammatica per lo studio di questa lingua tanto affascinante quanto complessa?
MI: “Ciao Federica, è bello risentirsi dopo così tanti anni e ripercorrere insieme le avventure e disavventure che ci hanno accompagnato durante quell’intenso e pazzo periodo di “addestramento”.
In realtà era da molti anni che mi frullava per la testa l’idea di creare un testo di giapponese per italiani scritto in italiano, perché non riuscivo a trovare un libro che potesse fungere da supporto alle mie lezioni di giapponese. I miei allievi mi riferivano di essersi cimentati, prima di intraprendere un percorso con me, nello studio autonomo del giapponese con scarsi risultati dovuti alla presenza sul mercato di materiale troppo tecnico e complesso o, al contrario, troppo poco dettagliato o datato e, comunque, quasi sempre in lingua inglese.
Dovendo io stessa creare continuamente materiale ad hoc per le mie lezioni mi sono spesso detta “perché non trasformare il mio materiale in un libro?”. Tuttavia, un po’ per mancanza di tempo, un po’ per l’assenza di una reale e forte motivazione, non avevo mai preso quell’idea troppo seriamente, almeno fino a quando non è scoppiata una pandemia!
Durante il secondo lock down ho ricevuto un messaggio sui social, hai presente quei messaggi provenienti da utenti che non fanno parte della cerchia dei follower? Quei messaggi che finiscono dritti dritti nello spam o in quella limbo-cartella che quasi nessuno sa di avere. Quel messaggio proveniva da un certo Mitsu, un ragazzo giapponese in cerca di qualcuno che lo aiutasse a rendere concreta la sua idea di creare un libro di grammatica giapponese per italiani. Ho subito visto questa occasione come un segno e ho accettato di incontrare Mitsu virtualmente. Abbiamo chiacchierato e da lì sono nate mille idee. Abbiamo deciso di improntare il libro in chiave un po’ simpatica e ironica, seguendo la dinamica delle mie lezioni includendo le domande frequenti che mi vengono poste e creando una grafica che si ispirasse ai manga (fumetti giapponesi). Abbiamo anche deciso di creare una storia di fondo per rendere l’apprendimento scorrevole, in modo da evitare che lo studente si scoraggi strada facendo.
È nato, così, lo scheletro di Chikamichi, una “scorciatoia” per chi vuole avvicinarsi alla lingua da autodidatta ed è in cerca non solo di un testo di grammatica, ma anche di una “guida immaginaria” che lo prenda per mano accompagnandolo passo passo anche attraverso i vicoli più bui della lingua, evitando di farlo inciampare e sollevandolo se ciò accade.
Con grandissimo stupore, la nostra proposta è stata accolta positivamente e con entusiasmo dalla casa editrice Vallardi che ha subito creduto nel nostro progetto, supportandolo“.
FV: Credi che per noi italiani lo studio di una lingua sia difficile rispetto ad altri di altre nazionalità?
MI: “Sinceramente, se parliamo dello studio della lingua giapponese, direi non particolarmente difficile. Anzi, sotto certi aspetti, noi potremmo essere addirittura avvantaggiati rispetto a studenti di altre nazionalità: la pronuncia giapponese ci è amica, grazie alla sua musicale alternanza di consonanti e vocali che si leggono come in italiano.
Anche alcune logiche grammaticali sono a volte più simili alla lingua italiana di quanto lo sia l’inglese. Più che difficile, definirei il giapponese “diverso”. Bisogna cambiare forma mentis e tuffarsi a capofitto in una cultura completamente diversa dalla nostra, a volte ardua da comprendere. Una volta proiettatisi al suo interno, molti aspetti della lingua vengono da sé e trovano inspiegabilmente il loro senso e la loro logica, ci viene così più facile comprenderli, capirne le strutture e gli utilizzi delle forme.
Il giapponese non si impara se non si acquisisce prima il potere di “leggere l’aria”, di capire il non detto e, per esempio, accettare il fatto che dire “sì” può essere solo un modo gentile di dire “no”, preservando l’armonia e il buon umore delle parti.
Il giapponese è anche un fiume vorticoso di contrasti e contraddizioni: il “non detto” è più importante delle parole. Tuttavia ci sono formule da “recitare” in varie situazioni della vita quotidiana che, per quanto scontate, vanno dette, altrimenti son guai!”
FV: Parlami un po’ di te… Di cosa ti occupi principalmente?
MI: “Dal 2008 mi occupo di formazione: insegno inglese e giapponese principalmente ad adulti, inizialmente solo in presenza e dagli ultimi anni prevalentemente online.
Ho iniziato praticamente per gioco e per caso dopo pochi anni dalla nostra intensa avventura alla ricerca del lavoro della vita (avventura che, alla fine, è servita ad entrambe per capire quale NON fosse il lavoro della nostra vita!).
Mi trovavo in una scuola, intenta a seguire un corso di spagnolo quando, durante una pausa, alcuni colleghi di classe, incuriositi dal fatto che conoscessi il giapponese, mi hanno fatto alcune domande sulla lingua, domande a cui ho risposto. Ricordo che si creò intorno a me un gruppetto di studenti incuriositi, intenti a fare domande su domande alle quali riuscivo a dare delle risposte. Il tutto prese anche una piega abbastanza divertente. Non pensavo che in mezzo a quel gruppo di persone ci fosse anche il direttore della scuola che, un paio di giorni dopo, mi convocò nel suo ufficio facendomi venire un colpo. “Cosa vuole? Cosa avrò combinato?”, mi chiesi. Invece mi disse, a bruciapelo: “Ti ho vista l’altro giorno. Ti va di insegnare giapponese qui da noi?”. “Io? Insegnare? Assolutamente no”, risposi. Avevo già un lavoro, avevo solo un mese di stacco (facevo l’assistente di volo) e di fare l’insegnante non mi era mai passato per la mente, anzi!
Ha insistito, non poco, proponendomi un piccolo progetto, per provare, lasciandomi libera di decidere se andarmene già dopo due settimane. Potevo farlo, ci ho provato…e non ho più smesso.”
L’insegnamento è stato una droga alimentata dalle soddisfazioni, dai sorrisi, dai risultati del miei studenti. Ora non farei altro al mondo.
Durante questi anni non ho mai smesso di formarmi, viaggiare, prendere certificazioni e creando materiale in modo da diventare una formatrice migliore e allo stesso tempo originale e un po’ fuori dagli schemi. Con il tempo è nato “Just sMile Formazione” ed il sito www.justsmileformazione.it, progetto che mi ha portato ad organizzare anche i miei corsi di gruppo e individuali, parallelamente a quelli realizzati in collaborazione con scuole, aziende ed enti.
FV: Da quanto tempo coltivi questa passione per il Giappone? Raccontaci qualcosa di particolare, in attesa di poter pianificare un viaggio.
MI: “Il mio amore per il Giappone nasce dalla mia passione per le arti marziali. Da piccola mi sono avvicinata alla disciplina del karate, praticandola anche a livello agonistico. Questo mi ha permesso di avvicinarmi alla cultura e anche un po’ ad alcuni aspetti della lingua che ho sempre sentito il bisogno di approfondire, per motivi sportivi. Non avendo, a quei tempi, a disposizione gli strumenti di oggi come Google, Wikipedia, Social Network o materiale digitale ed estero, non era semplice reperire informazioni.
Ho deciso di studiare traduzione ed interpretariato all’università e da lì si sono aperte anche le opportunità di andare in Giappone e respirare dal vivo la cultura, la lingua e i profumi del cibo!
Sono tornata dai miei primi viaggi di lavoro e di studio in Giappone non solo con tanto materiale da mostrare e da utilizzare per i miei corsi, ma anche con una valanga di aneddoti, racconti, esperienze, curiosità, percezioni ed emozioni da condividere. Posso dire di essere stata tra le poche persone a quei tempi ad aver portato il Giappone tra le aule in Italia, in un periodo in cui esserci stati veniva considerato qualcosa di raro, così come era raro per un giapponese vedere sulla metro e come staff di un hotel in Giappone una ragazza dagli occhi chiari e non a mandorla!”
FV: Pensi che ci sarà un seguito a questo primo step (Chikamichi – giapponese da zero)?
MI: “Qualcosa bolle in pentola, ma per ora preferisco rimanere con i piedi per terra!”
Chikamichi – giapponese da zero, lo ricordiamo, è disponibile su Amazon cliccando a questo link.