La terza serata di Sanremo segna il giro di boa di una kermesse lunga come le feste di Natale: tutti non vedono l’ora che arrivino e poi, a conti fatti, è meglio che finiscano presto. La qualità c’è, ma sobbalza come una connessione Internet nel deserto di Atacama.
La serata si apre ancora una volta con i giovani che, a spintoni, cercano di crearsi un varco nella giungla dello showbiz di oggi. Vincerà un nome – lo sapremo stasera – che verrà dimenticato perchè avrà la meglio chi arriverà ultimo. E’ consuetudine, una sceneggiatura già scritta da tempo e che viene riservata anche ai cosiddetti Big.
Degni di nota alcuni momenti cruciali. Baglioni apre con quello che meglio conosce, ovvero il suo repertorio. E, solo quando canta, lo riconosciamo come quel leone pacioccoso con una carriera pluridecennale alle spalle e che può e deve ancora raccontarci. Poi scompare, dietro un’esuberante conduttrice svizzera che, per forza di cose, è stata messa lì a condurre. Non che non sappia farlo, ben inteso: è spontanea anche quando si dimentica di presentare cantanti, direttore d’orchestra e autori delle canzoni. Ma fermiamoci lì.
Perde in partenza quando, nel bel mezzo di una cantata, viene interrotta artificiosamente da una donna in sala. Da lì ad uno stuolo di donne a cantare insieme sul palco è un attimo. Peccato che, in alcune circostanze, queste dimostrazioni femminili non fanno altro che sottolineare quello che, in realtà, rifiutano: una ghettizzazione della donna da parte dell’uomo, della società e, ahimè, di loro stesse.
La donna, quella vera, la si vede cantare – seppur paradossalmente in castigato abito maschile – accanto a James Taylor. E’ Giorgia, che non delude mai. Sobria, elegante e un passo indietro ad una leggenda della canzone “maledetta” americana. Quella un po’ nostalgica, un po’ malinconica.
Boati di entusiasmo arrivano anche per i Negramaro. Cantano Poster accompagnati dall’autore legittimo della canzone. Sangiorgi ha una voce che piace o non piace. Ha impreziosito alcune canzoni nel corso della carriera, ma questa l’ha distrutta. Solo riportata a galla da Baglioni la ricordiamo come una statuaria poesia della musica leggera italiana. Consiglieremmo, inoltre, ancora un po’ di dizione.
Breve, ma benvenuta incursione di Virginia Raffaele. L’unica in grado mettere tutti d’accordo, un po’ come Fiorello. Sulla falsa riga delle gag nonno/nipote, insieme a Baglioni balla, canta e tira fuori battute da un cappello a cilindro senza fine. Un esempio ben riuscito di consapevolezza di sé stesse: non importa cosa indossa e quanto bella sia (e diciamolo, il suo corpo è statuario!), ma la bravura è la prima qualità che si nota. Brava!
Come spesso capita, durante il Festival di Sanremo, si finisce per parlare degli ospiti anziché dei cantanti veri e propri. Ma ammettiamolo: anche ad un secondo ascolto, una certa demoralizzazione non fa altro che impadronirsi di noi. Menzione speciale a Luca Barbarossa: la sua canzone in romanesco, oltre ad essere originale, non può far altro che rievocare le atmosfere colorate e nostalgiche dei vicoli di Trastevere, dove si sente ancora l’eco scolpito degli stornelli di Lando Fiorini e Gabriella Ferri. Bravo. E grazie!